Sas de Putia, Sass Putia, Pitlerkofel Putia

Tanti nomi per una sola montagna, il Putia.
Siamo nel cuore delle Dolomiti, in val di Funes, nel mezzo tra la val Badia a Nord, la val Gardena ad Est e quella d'Isarco a Ovest. il gruppo delle Odle sono il pezzo pregiato ma oggi siamo lì accanto, nel sotto gruppo delle Eores dove isolato spicca il Putia, montagna facile da salire ma col versante Ovest imponente e verticale.


Si preannunciava una giornata incerta a causa del meteo, ha piovuto per tutta la notte e alle 8 della mattina le nuvole erano ancora basse, grigie, pesanti e piene di acqua. Con calma consumiamo la colazione dai sapori tirolesi, un occhio allo yogurt ed uno fuori dalla finestra, con più calma ancora prepariamo lo zaino e nutriti solo di speranza carichiamo tutto in macchina. Il passo delle Erbe dista solo dieci chilometri di curve, sfiora i 2000 metri, stavamo per andarci a ficcare nel bel mezzo delle nuvole. E invece no, salendo sulla strettissima strada, con l’attenzione rubata dal bordo strada sempre troppo vicino e dagli incroci improbabili con le altre auto, percepivamo che qualcosa stava cambiando molto velocemente; squarci di azzurro soffiavano sulle nostre speranze e ai 1987 m del passo delle Erbe le nuvole erano molto alte e meno scure. Pronti e via, inizia finalmente il nostro vero e tanto voluto contatto con le Odle. Dopo aver parcheggiato nell’esoso parcheggio del passo, ci incamminiamo sul sentiero 8A che si stacca li accanto, più che un sentiero si tratta di una strada brecciata a tutti gli effetti, per fortuna, ma da queste parti è cosa scontata, chiusa al traffico privato. Tra radure, sparuti abeti ai lati della strada e in leggera salita ci si avvicina alle imponenti pereti del Sass Putia, tre imponenti pilastri verticali; la strada dopo appena un chilometro dall’imbocco raggiunge un paio di malghe, la Munt del Fornela un vero ristorante d’alta quota, la posizione è invidiabile, dislocato sotto le pareti del Putia, di fronte ha l’erboso e tondo Plose, su cui si intuiscono le strutture degli impianti sciistici mentre ad Est si delinea la rocciosa linea delle Odle di Eores verso cui ci si dirige. Ad un paio di chilometri dalla partenza, poco meno, la strada si riduce a sentiero, sfiora un piccolo fosso ed una sorgente ed inizia a costeggiare la roccia prima di infilarsi lentamente nel vallone che divide le Odle di Eores dal Putia; traccia erbosa al limite del bosco, traccia ghiaiosa, quasi cengia sotto i costoni ripidi e poi di nuovo traccia che fila tra radure e alberi sparuti quando prende a scendere per incrociare il sentiero GM, Gunther Messner (+1 ora). Fino ad ora in quota senza grossi strappi il sentiero si inerpica negli ultimi 300m per salire fin sulla forcella de Putia, ora fuori ora dentro i ghiaioni dove in qualche tratto scorre il torrente che scende dall’alto, la salita si inerpica via via che ci si avvicina alla sella; ambiente tipico dolomitico, rampe sempre più strette e più ripide, la ghiaia fine e scivolosa che prende il posto del sentiero battuto, alcuni tratti, soprattutto nella parte alta sono contenuti da strutture artificiali, scaloni, travi, grosse pietre a contenere il dilavamento a valle del terreno; sempre su questi passi la sella sembra non arrivare mai, e sempre le aspettative una volta sopra sono tante e per fortuna quasi sempre si è ripagati. Sulla sella ampia a 2357m. (+40 min.) un crocefisso, delle panchine e molta la gente che riprende fiato. Gli orizzonti si aprono sull’alta Badia e su un mare di montagne difficili per noi da riconoscere, sotto si allunga una valle erbosa che raggiunge degli stazzi ed una strada che se presa verso sinistra permette l’anello intorno al Putia. Sulla destra e in piano parte il sentiero verso il rifugio Genova o per continuare il GM, sulla sinistra si stacca invece un lungo traverso che prendiamo e che è il docile approccio alla salita definitiva al Putia. La seconda parte della salita al Putia si svolge quasi interamente dentro un vallone che scende dalla sella tra il piccolo Putia e la vetta principale; l’ultimo pezzo, per toccare i 2875m. della vetta, si svolge su roccia, su una grossa cuspide rocciosa che si eleva di duecento metri dalla fine del vallone e che da lontano sembra complicata da approcciare nonostante la presenza di una ferrata. Dopo la forcella ed il primo traverso agevole il sentiero prende ad inerpicarsi ripido con frequenti tornanti, le nuvole che fino a quel momento ci avevano dato inaspettatamente tregua svalicano dalla forcella ed iniziano a salire il vallone trasformandolo in un austero ambiente montano. Le nuvole corsiere ora coprono ed ora scoprono gli orizzonti, creano coni di luce che regalano contrasti di colori e di profondità, i cieli puliti regalano orizzonti lontani e sicurezza nel cammino che si ha davanti, le nuvole, soprattutto quando diventano fitte e buie qualche incognita in più ma anche suggestioni incredibili, l’importante è che non decidano di ristagnare troppo a lungo. A tratti non si percepisce la fine della salita tanto sono fitte le nubi, per fortuna la traccia è chiara e anche se ripida, è agevole; quando per alcuni momenti si libera la vista verso la cima non è ancora chiaro il profilo della vetta, sopra quella che appare come una sella sembra esserci un enorme monolite ripido, a sinistra una cima più docile che sembra essere raggiunta da una traccia di sentiero. Quando la pendenza si attenua arriviamo sulla ghiaia della grande sella, le nuvole spariscono, si legge la vetta ora, si trova sopra il monolite roccioso che si alza poche decine di metri più in là, la vetta più bassa è il piccolo Putia, effettivamente è raggiunto da una facile traccia fin sull’omino di vetta. Individuiamo l’attacco della ferrata, poco oltre la sella una larga cengia, quasi una crestina, un “istmo” tra la sella e la salita finale, si iniziano a sentire verticalità importanti intorno; ci “imbraghiamo” ed inizio ad attaccare la salita, come spesso accade dopo i primi approcci quella che sembrava complicata si dimostra una facile salita, verticale ma appoggiata, esposizioni ci sono ma non sono dirompenti. Appigli ovunque, cavi ben tesi, la linea molto bel protetta, tra le pieghe della montagna sale con discreta verticalità ma mai troppo impegnativa, la roccia è di prima qualità ed i piedi, ma anche le mani, hanno sempre una maniglia o un appoggio certo su cui far conto; di quelle che nonostante la verticalità di certi momenti si definisce una ferrata facile e anche breve. Cento, centocinquanta metri è lungo l’asse attrezzato, la calotta finale, gli ultimi quaranta metri, sono su ghiaione e roccette dove viene meno l’esposizione e terminano le protezioni. Una vecchia croce in legno campeggia in vetta (+2,20 ore), una di quelle minimali, semplici, consumata, una gioia vederla e poterla toccare, non stona per niente con quanto ci si apre intorno; tra le nuvole che viaggiano comunque veloci sul limite delle vette e delle creste i panorami mutano continuamente, muta la luce che le colpisce, mutano le emozioni che iniziano a rincorrersi. Ogni istante è una fotografia diversa e ognuna è unica e bellissima, con i contrasti del momento le vicine montagne di Puez, le Odle e quelle di Eores diventano l’emblema e l’essenza di tutte le montagne, come se fosse la prima volta che ci troviamo di fronte a tanta grandiosità. Quando si è quassù, di fronte a questi panorami ci sono tutte le motivazioni che ci portano a sopportare i 700 chilometri di viaggio e le estenuanti file in autostrada. Abituati alla presenza umana, e lo sappiamo, quando ci sono gli umani c’è cibo, veniamo presto circondati da stuoli di fringuelli, amichevoli, curiosi, docili e molto più probabilmente interessati, si fanno fotografare, quasi salgono in mano; la simpatia del momento si scontra con la violenza che facciamo sulla natura e sulla deviazione di comportamenti cui noi umani ci dobbiamo far carico. Le nuvole si aprono e si chiudono velocemente, ad un certo punto forse si chiudono un po' troppo, intima l’emozione che si prova quando tutto ti sparisce alla vista e vieni solo sferzato dal vento e dall’umidità dell’aria; non era una situazione preoccupante, la via di discesa era semplice e dopo pochi passi, obbligata dai cavi, ma dovevamo trovare l’imbocco; era meglio uscire e abbassarsi, togliersi da quelle nuvole scure e riprendiamo la discesa, ovviamente e obbligatoriamente per la stessa via dell’andata. La discesa è stata più facile del previsto, in qualche tratto non c’era bisogno di disarrampicare, raggiungiamo la sella quando le nuvole ritornano ad allargarsi. Rinunciamo, per la mutevolezza del clima e perché la giornata iniziata tardi si è allungata oltre il previsto, la facile salita e deviazione fino il piccolo Putia, da lì saremmo stati di fronte al pilastro verticale della vetta principale; ci buttiamo sul sentiero dentro il vallone. Alla forcella del Putia (+1,40 ore) non c’è più nessuno, vento e nuvole basse riducono gli orizzonti, anche la temperatura si è abbassata, il tempo di una sosta e di qualche confidenza con i gracchi che prendono coraggio e si avvicinano per farsi regalare qualche briciola o avanzo di cibo e riprendiamo la discesa dentro il vallone detritico e quindi più scivoloso, lenta la discesa fin tanto non atterriamo sulla traccia fuori dal ghiaione. Ormai si incontrano poche persone, qualcuna ancora sale sotto grossi zaini, immagino con direzione rifugio Genova, a noi ormai tocca solo aggiungere passi ad una giornata che ci ha dato molto, nata per forza sfidando nuvole e pioggia ci ha permesso di arrivare in vetta senza patemi e di godere di panorami probabilmente più belli vista la mutevolezza regalata dalle tante nuvole. Era pomeriggio inoltrato, ed eravamo a stomaco vuoto, quando arriviamo alla baita di Munt del la Fornela (+1,25 ore) tentiamo l’impossibile, mangiare ancora qualcosa; ovvio che si può, siamo sulle Dolomiti, dove al contrario che sui nostri Appennini, quasi sempre e a qualsiasi ora non si fanno problemi. E’ finita a gulash e canederli, con una bella birra davanti ed il sole che è uscito ad attenuare le sferzate fresche del venticello che ogni tanto soffiava. Eravamo in paradiso per la seconda volta nella stessa giornata. Il passo delle erbe è più o meno ad un chilometro, ci arriviamo che il parcheggio è vuoto (+1,30 ore compresa la sosta alla baita), sono le 18,30 del pomeriggio, il tempo si è ulteriormente dilatato per la sosta alla baita ma è comunque un dispiacere grande chiudere questa prima giornata targata Odle.